Immagino che la maggior parte di voi risponderà Certo, perché tu no?
No, io no o almeno non prima di scrivere il mio romanzo ( “Il mio romanzo” suona un po’ pomposo: chiedo scusa). Veramente nell’orticello della scrittura avevo già zappettato, ma niente d’importante. E così la prima cosa di cui mi resi conto fu che arrivare a un buon prodotto finale, o almeno a qualcosa di decente, è maledettamente faticoso. La prima stesura filava via liscia e mi sentivo eccitato. Mi vedevo già da Feltrinelli o Mondadori mentre autografo copie del mio libro a folle di fan adoranti. Ma la fase delirante ebbe breve durata e subito dopo cominciarono i problemi.
È come un primo appuntamento: all’inizio sei su di giri, ma tranquillo perché credi di aver tutto sotto controllo, ma poi le tue certezze vacillano. Sono stato divertente o noioso? Forse ho bevuto troppo? Si sarà accorta che ho i calzini corti? L’invito a casa o no? Si offende se lo faccio o si offende se non lo faccio? Insomma ti muovi sulle sabbie mobili.
Se la scrittura non è uno sfogo o un diario, ma punti ad avere un pubblico, piccolo o grande non importa, ti obbliga a farti un sacco di domande a cui sei obbligato a rispondere. Se il protagonista inforca gli occhiali da sole siamo sicuri che venti righe prima non ho detto che la giornata era nuvolosa? A quel personaggio ho dato un soprannome, era proprio necessario? Tutti gli attori del racconto compiono delle azioni, ma le motivazioni sono sempre comprensibili?
Insomma è un po’ come se il primo appuntamento non avesse la conclusione piacevole che ti aspettavi, quale sia dipende dai punti di vista, ma si trasformasse in una corsa a ostacoli. In breve leggere e rileggere le sudate carte per me era una tortura, va bene non scrivevo a mano, ma dire la sudata tastiera non rende. Per mia fortuna, quando ero sul punto di mollare tutto, gli dei benigni hanno avuto pietà e mi hanno dato un segno. Niente roveti ardenti e nemmeno messaggeri alati, ma la mano tesa di una cara amica.
Quando sei un esordiente totale prima o poi viene il momento in cui cominci a chiederti se vale la pena di faticare tanto per qualcosa che non leggerà nessuno o quasi. Così confidai l’irremovibile decisione, la mia vita è piena di irremovibili decisioni che poi ho cambiato, di privare il mondo di un probabile Nobel per la letteratura. Per mia fortuna, e di milioni di lettori, la mia amica oltre avere i capelli rossi ha un gran cuore e si offrì di leggere quello che avevo scritto e darmi il suo spietato giudizio.
Qui mi permetto di dare un consiglio: non vi fidate di chi vi sta vicino. Marito, moglie, amante chiunque sia coinvolto emotivamente con voi darà sempre un giudizio falsato. O parlerà di capolavoro o riderà di voi. Perché questo è il problema per gli scrittori. Se strimpelli la chitarra puoi andare bene per accompagnare un coro da gita sociale in pullman. Se imbratti le tele lo trovi sempre un amico che ha una macchia di umido da coprire. Persino se reciti nella più scalcagnata filodrammatica un parente pietoso che venga a vedervi massacrare Shakespeare o Pirandello c’è sempre. Ma per gli scrittori non c’è pietà. Devi essere bravo o non ti prendono in considerazione. Quindi occorre trovare qualcuno obiettivo.
La mia amica lesse una decina di capitoli, mi lasciò perfidamente a sudare per una settimana, e poi mi scrisse (riporto uno stralcio della sua E-mail): Non è Guerra e Pace, ma se molli sei un imbecille!
E così cominciò il nostro sodalizio. Io a scrivere e a riscrivere e lei dire: “Non mi piace, puoi fare meglio” o quando era proprio in buona “Può andare”. Altre volte commentava: “Cambia! Non è nel tuo stile! Ma quale stile, io manco lo sapevo di avere uno stile.
Mi ero trovato il mio Torquemada personale, ma anche un pubblico attento e scusate se è poco.